CENA E LETTERATURA IMMERSI NELLA NATURA

DI TERRA E DI MARE è il tema di questa cena in cui ogni portata è inframmezzata da letture: due modi d’essere della Natura e più modi diversi di scriverla. Un viaggio fatto di letture fra onde e cammini, creste e traversate vele e orizzonti, scelte, lette e commentate da Gian Luca Favetto. Non sarà una semplice lettura: le parole di Favetto risuoneranno nel silenzio della natura, svelandoti il legame fra l’uomo la terra e il mare. Favetto è un profondo conoscitore e appassionato di letteratura, scrittore, drammaturgo e critico teatrale, che sostiene: “Leggere a voce alta è meglio, perché meglio e più

profondamente risuona dentro di noi l’esperienza in forma di lettura”. Questa è un’occasione speciale per riscoprire il piacere di ascoltare storie e farle tue, in un luogo che evoca bellezza, tranquillità e riflessione

L’esperienza include la cena e il breve viaggio letterario, tutto al costo di 50€.

I posti sono limitati: non perdere l’occasione!

Prenotazioni al ‭+39 380 1563777‬ oppure niasca@eremosantantonio.it

Come raggiungerci?

  • Arriva in treno a Santa Margherita Ligure.
  • Prendi il bus 782 per Portofino e scendi alla fermata di Niasca.
  • Da lì, ti aspetta una breve e piacevole salita di 15 minuti a piedi che ti porterà all’Eremo di Sant’Antonio.

Per tutte le info, clicca qui: https://bit.ly/all_Eremo

Tracciare linee sulla sabbia (dalla news lettere Lapilli+)

Parlando di coste si può davvero parlare di coesistenza bilanciata tra sfera pubblica e sfera privata, o è solo un’illusione?

È una mattina rovente di inizio luglio ad Atene. Noi – Vasiliki e Carolina – ci stiamo concedendo qualche giorno di pausa dai nostri dottorati nel Regno Unito, cercando di non pensare a biblioteche e lavoro sul campo per immergerci nell’ozio dell’estate greca. Vasiliki, cresciuta ad Atene, è tornata a casa per una visita e Carolina l’ha accompagnata per una breve vacanza. Stiamo guidando lungo la costa con l’aria condizionata accesa e i finestrini socchiusi, nel tentativo di tenere a bada il caldo. Alla ricerca disperata di un posto dove fare un tuffo, deviamo verso una piccola insenatura che Vasiliki ha sempre chiamato “la spiaggia del nonno”, senza mai sapere se avesse un nome ufficiale. Carolina ha già fatto il giro dei luoghi imperdibili della città e ora è ansiosa di conoscere il punto di vista della gente del posto. Del resto, entrambe studiamo l’esperienza vissuta delle città – come le configurazioni spaziali modellino identità e comunità – e a quanto pare questo modo di guardare il mondo è difficile da abbandonare, anche in vacanza.

La spaiggetta di Niasca sotto di noi; raro caso di spiaggia libera nel golfo del Tigullio in Liguria

Il mare si intravede in lontananza, appena oltre un ampio tratto di asfalto che sembra fungere da parcheggio improvvisato. La spiaggia rimane indecifrabile: non sappiamo ancora che tipo di luogo sia, né a chi appartenga. Un uomo è fermo proprio prima dell’inizio della sabbia, sotto un po’ d’ombra. Esitiamo alla vista di un cartello “Vietato parcheggiare”. Rallentiamo e abbassiamo il finestrino. “Ci fermiamo solo per un bagno veloce”, diciamo. Lui sorride e annuisce, facendoci cenno di entrare con un gesto al tempo stesso permissivo e ambiguo. A un certo punto, pensiamo, l’accesso alla spiaggia – nella cosiddetta “Riviera ateniese” e non solo – ha smesso di essere considerato un diritto e ha iniziato a sembrare un favore.

Quando arriviamo di fronte alla riva, la spiaggia ci appare divisa in due: a destra è gestita da privati, mentre a sinistra si estende senza rivendicazioni. Non è sempre stato così, ricorda Vasiliki. È stato nel 2019 che il comune di Vari-Voula-Vouliagmeni, uno dei sobborghi a sud di Atene, ha concesso per la prima volta a una società privata il permesso di gestire quella che era stata designata come spiaggia attrezzata: lettini, ombrelloni, servizio ristorante. L’accordo era chiaro: l’operatore privato poteva occupare fino al 50 per cento della spiaggia, lasciando l’altra metà aperta e gratuita per l’uso pubblico. Tuttavia, il documento non era accompagnato da una mappa dettagliata con linee guida su dove potessero essere collocati tavoli, ombrelloni e lettini a riva.

Questa non è solo una storia locale. In tutto il Mediterraneo e oltre, le coste vengono sempre più spesso ridisegnate, non con recinzioni o decreti formali, ma attraverso una coreografia più sottile fatta di cartelli, tariffe, permessi e assenze. In Italia, ad esempio, il 43 per cento delle spiagge è gestito privatamente, con alcune regioni come la Liguria che vedono quasi il 70 per cento dei propri litorali sotto il controllo di operatori privati. In Libano, si stima che fino all’80 per cento dei circa 220 chilometri di costa non sia accessibile al pubblico.

Le rocce sono state rimosse. I cespugli spariti. Gli alberi sradicati. La pendenza del paesaggio modificata. Al loro posto è arrivata della sabbia ordinata, importata, grossolana, di un pallore innaturale, sparsa su quello che un tempo era un litorale ruvido e irregolare. Ciò che era stato autorizzato come stagionale e con un impatto minimo, come un pontile galleggiante appoggiato delicatamente sul fondale per sei mesi l’anno, è diventato una piattaforma permanente che si protende nell’acqua.

E tutto questo per 73 euro al metro quadro all’anno. Il contratto, sulla carta, copre 380 metri quadrati, ma anche questa cifra è variabile nella pratica, scollegata dalla reale superficie trasformata e utilizzata. Per 27.740 euro l’anno, un tratto pregiato di costa è stato riconfigurato, recintato e monetizzato. Per curiosità, facciamo una rapida ricerca su Google. La spiaggia è gestita da un hotel di lusso nelle vicinanze, il che spiega i furgoni neri che discreti arrivano a intervalli, scaricando ospiti stranieri con borse da spiaggia con il brand dell’hotel. Nessun prezzo è indicato né sul sito dell’hotel né su quello della spiaggia. Solo attraverso un sito di notizie greco troviamo qualche riferimento concreto: un ombrellone con due lettini costa 105 euro nei giorni feriali e 150 euro nel weekend. Una cabana costa 160 euro dal lunedì al venerdì, 220 euro il sabato e la domenica.

La monetizzazione del tempo libero qui non è niente di nuovo, anzi, sta diventando sempre più comune in tutto il mondo. In molte aree costiere, gli spazi vengono plasmati per servire turisti e interessi privati, mentre la gente del posto si ritrova progressivamente tagliata fuori. Eppure, a prima vista, tutto sembra scorrere senza interruzioni. Non ci sono corde, cartelli o segni evidenti che indichino dove finisca il pubblico e inizi il privato.

Qualche persona si muove tra le due zone – abbastanza da alimentare l’illusione di un confine non rigido. Alcuni lasciano le loro cabane per fare una breve passeggiata lungo la spiaggia libera. Altri, dal lato pubblico, si avvicinano a quello attrezzato, fermandosi vicino alla linea invisibile dove iniziano i lettini. La gente scatta foto, tante. Sul lato libero, i bagnanti posano con la spiaggia privata sullo sfondo, usando gli ombrelloni ordinati e la sabbia curata come scenario. Sul lato privato, le persone scattano foto verso il tratto non curato, roccioso, verde, un po’ selvaggio. Tutti sembrano volersi appropriare del paesaggio altrui, cercando di vivere un’esperienza che non appartiene a loro.

Il mare è il grande livellatore. Una volta in acqua, tutte le linee sfumano. Anche il pontile contribuisce a questa illusione. Pur trovandosi nella zona privatizzata, è fisicamente accessibile a tutti. I bambini lo adorano. Ci avviciniamo per guardare la spiaggia dal loro punto di vista e restiamo un po’ sul pontile. Ci sorprendiamo a pensare a quanto siano gentili a permetterci di restare – il punto di riferimento è cambiato, abbiamo interiorizzato così profondamente l’impronta della privatizzazione che l’accesso, quando non è negato, ci sembra un atto di benevolenza. In generale, questa sensazione di “generosità” maschera l’asimmetria di potere sottostante: l’accesso è concesso, ma sempre in modo condizionato e secondo i termini definiti dal controllo privato. Alla fine, la benevolenza diventa un meccanismo sottile di esclusione, che consente alla privatizzazione di apparire civile.

È finalmente il nostro momento di entrare in mare per una nuotata. Dopo poche bracciate, ci troviamo vicino a una piccola terrazza artificiale con una panchina in pietra. Decidiamo di salirci sopra. Da questo punto, possiamo vedere un’altra spiaggia, dove alcuni yacht sono allineati in silenziosa disciplina. Sulla spiaggia, ogni ombrellone è sistemato con cura, ogni asciugamano ben disteso su un lettino. Da qui, è difficile non chiedersi: è questa la direzione verso cui stiamo andando? Un futuro in cui il pubblico è costretto ad accontentarsi di ciò che resta? Il mare sembra ancora aperto, ma la riva racconta già un’altra storia.

In tutto il mondo, dall’Indonesia alla Grecia, coste un tempo condivise stanno silenziosamente passando in mani private. A Bali, nuove leggi regionali sono state introdotte per impedire ai resort di recintare le spiagge, riaffermando che nessun tratto di litorale dovrebbe essere di proprietà privata. In Italia, quasi metà della costa è vincolata da concessioni a lungo termine, spingendo l’Unione europea a intervenire e gruppi di attivisti come Mare Libero a protestare. In Turchia, una normativa recente consente lo sviluppo turistico in aree costiere boschive tradizionalmente protette dalla costituzione e dalle leggi ambientali e costiere purché siano tecnicamente “aperte al pubblico”, suscitando i timori di chi difende i diritti civili che questa vaga formulazione possa spianare la strada a una privatizzazione di fatto delle aree costiere. È sempre più evidente che, se non si interviene, gli ultimi luoghi aperti a tutti potrebbero svanire silenziosamente e con loro le opportunità di incontro della comunità in un luogo condiviso che accoglie tutti, non solo chi se lo può permettere. 

E quindi, la domanda rimane: si può davvero parlare di coesistenza bilanciata tra sfera pubblica e sfera privata, o è solo un’illusione?

Vasiliki Poula e Carolina Rota

Foraging e ricette immersi nella natura

Riconoscere e raccogliere le erbe spontanee locali e capire le loro proprietà; creare ricette e “pesti” aromatici.
Cucinare all’aria aperta in gruppo con ingredienti del territorio; pranzare all’aperto sotto i noci secolari, con le ricette preparate insieme: con Federica Vinco
L’Eremo di Sant’Antonio di Niasca è immerso nel Parco di Portofino, in una valletta nascosta, molto vicino al borgo di Portofino. Si arriva a piedi in 10 minuti di salita dalla strada provinciale (fermata del bus 782).
La sua missione è l’accoglienza come rifugio escursionistico: semplice e genuino, in memoria delle sue origini medievali di piccola comunità monastica-contadina.
La sua vocazione è vivere e promuovere la cultura del territorio ligure.

Monasteri e conventi fra cucina e natura

di Alberto Girani

Leggendo con attenzione la ristampa della Cucina di strettissimo magro di padre Gaspare Stanislao Dellepiane – volume datato 1880 – e scorrendo la biografia di questo acculturato francescano appartenente all’Ordine dei Minimi (voluto da san Francesco da Paola nel 1435), si ricavano, indirettamente, diverse notizie sia di carattere naturalistico sia tali da indurre a riflessioni sul rapporto fra i religiosi e il promontorio di Portofino attraverso quella che era la loro alimentazione.

Padre Dellepiane manda alle stampe il libro un anno dopo aver lasciato la chiesa di San Nicolò di Capodimonte, che aveva retto dal 1874. Tra l’altro aveva curato la popolazione locale quale medico omeopatico, dimostrando la sua grande conoscenza nel campo dell’erboristeria. Durante il suo soggiorno, dovrebbe avere stilato molte delle 476 ricette pubblicate nel suo volume, utilizzando non si sa in quanta parte antichi testi e tradizioni religiose e locali, ma sicuramente rispettando le severe regole del suo Ordine, che impedivano l’uso di carni, latte, uova e loro derivati.

È interessante notare come a terra, ranocchie e rane, lumache e anguille, stanate dai rii con l’euforbia – il cui veleno induce i pesci a muoversi e a scappare dai rifugi – costituissero una fonte alimentare, ancorché marginale. I pesci la fanno da padrone e – specchio della cultura popolare degli uomini di mare – garantiscono un fattore importante della varietà alimentare proposta dal frate.

Ecco l’elenco dei pesci così come si susseguono nelle ricette. Per quanto concerne il mare, si hanno: acciughe – già citate, ma conservate in barile, in un documento del XIV secolo relativo all’eremo di Sant’Antonio di Niasca –, agone, angelo, argentosa, bianchetti, bolagio, boldrò, bove pesce, buga, capone, caponero, cavalla, caviglione, chiandone, chiozzo, crovello, dentice, fan fano, favotta, ferrazza, ficotto, figaro, gallinella, gronco, imperatore, indorata, lama, lampuga dorata, lecca, luccipo, lucerna rossa e nera, lupazzo, meanta, menola, merluzzo, mormora, morona, morona spinosa, moscardino, mostella, mugine, murena, notola, occhiata, ombrina, orata, palamita, palombo, pappagallo, parago, pavazzo, pelle dura, perchia, pesce prete, pesce re, pesce spada, pesce topo, pescimpiso, porchetto, rasoio, razza, ribello, rombo, ronco, rondine, rondinino, rossetti, salpa, San Pietro, sarago, sardelle, sarpa, scorfina, scorpena, serretta, sgombro, signora pesce, sogliola, sparletto, strombolo, su- gherello, tanuta, tompella, tonno, tordo, tremolo, triglie, truggina, zerro. 

Nel ricettario non mancano altri prodotti del mare quali i molluschi (arsella, calcinello, polpo, seppia, vongola), un crostaceo, l’aragosta, un rettile e la tartaruga di mare, cucinata al pari della quella di terra. Tra i pesci di acqua dolce – evidentemente acquistati – sono elencati, inoltre, carpa, luccio, pesce persico, tinca e storione, con il suo derivato: il caviale. 

Non è certo singolare che i pesci costituiscano una percentuale note- vole dell’alimentazione dei religiosi, i quali presso l’abbazia della Cervara hanno addi- tittura costruito una peschiera di notevoli dimensioni.

Relativamente alle piante, si utilizzano – quali ingredienti secondari – pinoli, mandorle, limoni, amarene, fichi, capperi e zafferano. 

Appaiono anche le officinali, chissà da quanto coltivate negli orti di contadini, di monasteri e di conventi. La grossa quantità è rappresentata, però, dalle erbe spontanee del territorio: alloro, basilico, borragine, maggiorana, mellissa citrica, menta, nepetella, origano, prezzemolo, rosmari- no, salvia e timo.

Se si passa alle verdure, si trova un lungo elenco di tipi piantati nei terreni dei cenobi e in quelli dati con contratti enfiteutici. Tra le specie selvatiche, si rinvengono solo asparagi, bietole, funghi neri e ovuli, a conferma di una distanza con la cucina popolare, dove prevalgono le erbe del preboggion, ossia piante raccolte nei prati, negli uliveti, fra le pietre dei muri a secco e utilizzate in numerose ricette: da crude, in in- salata, o – come indica il nome – da bollite, per ottenere contorni o ingredienti fondamentali di alcuni primi piatti.

Notizie sulla vita monastica medievale, relative ai benedettini – ordine rigoroso nel concepire l’alimentazione come esercizio nella penitenza e nella mortificazione – si possono ricavare anche per i religiosi di San Fruttuoso, considerando i diritti di cui godevano i cenobiti.

La regola benedettina è improntata a un’alimentazione sana e naturale, che è condizionata dalla produzione stagionale e diversa da regione a regione, nonché – come è ovvio – da eventi catastrofici quali guerre, epidemie, carestie e mutamenti climatici. A differenza dei Minimi, i seguaci di san Benedetto possono beneficiare di uova e formaggio, in quanto sono precluse solo

carni rosse e spezie. Avrebbero potuto avvalersi quindi delle proteine derivate da al- cune delle prede dei falconi da caccia, co- me i colombacci o i piccoli uccelli della macchia.

I falchi del territorio – oggi sono il falco pellegrino, il lodolaio, il gheppio, lo sparviero – almeno dall’inizio del secolo XII sono appannaggio dei monaci e, sicuramente prima del 1162, gli stessi hanno diritti esclusivi sulla pesca e sulla caccia. Da un privilegio solenne di papa Alessandro III sappiamo, infatti, che “[…] ogni portofinese dovrà servirsi unicamente del forno del monastero […] ogni allevatore consegnerà al cenobio tutti i fegati di maiale di oltre un mese e mezzo d’età […] , ogni pescatore infine cederà ogni settimana di quaresima due bughe […]”.

Una prima riflessione è legata al fegato di maiale, in quanto le diete – come quella dei minimi e dei benedettini – hanno una gra- ve carenza nell’apporto di vitamina A, pre- sente, invece, in grande quantità nell’ali- mento, che evidentemente è somministra- to ai religiosi per evitare che si ammalino. Fermo restando che ai monaci e ai frati infermi sono accordate specifiche dispense alimentari, il metodo sistematico di approvvigionamento del prodotto da parte dell’abbazia di San Fruttuoso fa pensare o a una particolare concessione in deroga alle severe regole alimentari – licenza che poteva essere data solo dal papa – o a una vera e propria tipicizzazione regionale della cucina del monastero.

La consegna delle boghe in periodo di Quaresima, pergiunta, conferma come la qualità del cibo oltre alla sua quantità variassero nel rispetto delle solennità liturgiche. L’alimentazione benedettina – essendo basata su pane, legumi, formaggi, pesce e vino – è infatti parsimoniosa e in- tercalata da digiuni ed è molto diversa da quella dei ricchi laici del tempo, dalle cui famiglie, comunque, molti monaci provenivano.

Anche nel Medioevo, sicuramente l’alimentazione dei confratelli differisce da quella della popolazione della regione: dal privilegio del 1162 di Alessandro III, emerge che tra alcuni portofinesi è diffuso l’uso del pane, come ha testimoniato lo studioso Gianni Rebora, recentemente scomparso, che ha scritto: “Un alimento destinato soprattutto a chi poteva per- mettersi di pagarne il prezzo […], il conta- dino non proprietario […] si nutriva male, ricorreva alla polenta (di farro, di fave, di ceci) e solo raramente usava il pane, qua- si mai di frumento […]”. Questo prodotto è relativamente diffuso in quel borgo, dove la presenza militare, il commercio marittimo e la pesca creano, per alcune categorie di lavoratori, una situazione economica migliore e tale da affrancarsi dalle condizioni di sopravvivenza, che caratterizzano gli abitanti del territorio nel Medioevo

Leggere è vivere

WORKSHOP STANZIALE LETTERARIO con Gian Luca Favetto

Quattro racconti che svelano il mondo, dice il sottotitolo, il mondo degli esseri umani, quello che formiamo stando insieme. Ma anche quattro racconti che svelano il modo di essere degli umani. Un’esperienza che facciamo attraverso lo sguardo di quattro grandi scrittori e scrittrici (italiani, europei, americani), attraverso il punto di vista che emerge dalla lettura dei loro libri

Leggere è un modo di guardare e scoprire le cose che ci circondano, le cose e le persone con cui abbiamo a che fare più o meno quotidianamente. È un modo di essere e di vivere, di confrontarsi con l’altro e gli altri. Un modo di viaggiare e conoscere, di fare esperienze e coltivare il proprio sentire, così che siano veri sentimenti quelli che, infine, proviamo, e non soltanto emozioni.

E leggere a voce alta è meglio, perché meglio e più profondamente risuona dentro di noi l’esperienza in forma di lettura. E farlo non solo surfando sulle parole, andando veloci seguendo la trama (come se la lettura fosse una discesa libera su una pista olimpica), ma scoprendo l’architettura che regge il racconto, analizzando ciò che dice il non detto, ciò che dà ritmo e senso alla storia, ciò che lo scrittore nasconde per far brillare la narrazione, approfondendo i personaggi facendoli stare in mezzo a noi, testimoniando in questo modo il fascino e la bellezza di condividere la letteratura, di farne pratica.

E, tutto questo, farlo insieme, farlo in coro, così che attraverso sguardi diversi possano confrontarsi differenti esperienze, finendo con l’arricchirsi l’un l’altra.

Vale sempre la pena di ricordare che la letteratura appartiene alla parte più intima di noi, appartiene alla lettura. Se appartenesse alla scrittura, si chiamerebbe scritteratura.

Quattro racconti, si diceva. Forse cinque. Sei. Sei poi tu, alla fine, l’oggetto e il soggetto delle storie che leggiamo.

Trekking su una via della Transumanza Ligure

promontorio Portofino
Trekking in giornata dal Colle della Spinarola all’Eremo di Sant’Antonio di Niasca
entroterra di Portofino (GE), l’8 ottobre 2023.
Questo percorso nasce come via di Transumanza poi per secoli anche percorso votivo: dal passo della Spinarola attraverso il monte di Portofino, all’Eremo di Sant’Antonio di Niasca.

Sul percorso che scende verso il monte di Portofino dalle alture Liguri, il mare del golfo di Genova è il primo sfondo della nostra bellissima gita

Conoscete il promontorio di Portofino? La antichissima strada consolare romana lo taglia fuori perché rispetto alla linea di costa è un agglomerato roccioso, ripido e impervio che si protende sul mare: per le necessità di spostarsi velocemente verso le periferie dell’impero per i romani era un ostacolo da evitare. Ma se consideriamo il nome antico “Caput muntis” Capodimonte, ci si apre una prospettiva diversa: dall’entroterra verso il mare, dove i crinali dei monti di Genova declinano verso il monte di Portofino, ultima vetta che si affaccia sul golfo Paradiso e sul golfo del Tigullio. Per chi come tantissimi viaggiava a piedi i crinali che evitavano i “sali e scendi” dalle valli, erano un percorso vantaggioso, su cui era facile orientarsi; primi fra tutti a utilizzarlo i pastori che ne fecero un abituale via di transumanza verso pascoli vicino al mare, negli inverni rigidi con le montagne innevate. I monasteri del promontorio di Portofino che avevano ampi possedimenti affittavano questi pascoli, sempre verdi per l’influenza mitigatrice del mare, ai pastori, che transitarono per secoli su questo sentiero che faremo insieme.
In questa gita con la guida di Carlo Capra ripercorreremo l’ultimo tratto di questo percorso da passo della Spinarola all’Eremo di Niasca dove si potrà pernottare, in un rifugio che evoca questi tempi antichi in modo perfetto.!
Il costo è 55€ guida e pulmino al passo della Spinarola: prenotazioni al +39 347 0836713 o carlo@donkeyshome.it
CARATTERISTICHE
Lunghezza percorso: 15,5 km;
dislivello positivo: 570 m;
dislivello negativo: 1030 m;
5,30 di cammino
PROGRAMMA
Orario di ritrovo: 8.00 in Piazza Vittorio Veneto a Santa Margherita Ligure, vicino al chiosco dell’info point e dal mosaico a margherita; per facilitare il riconoscimento Carlo avrà una bandana rossa;
trasporto col pulmino al Passo della Spinarola, circa 40 minuti di viaggio; arrivo all’Eremo di Sant’Antonio di Niasca alle ore 17 nell’entroterra di Portofino (GE).
Qui si può cenare e pernottare nel rifugio escursionistico
al +39 380 1563777 o niasca@eremosantantonio.it
I prezzi li trovate qui https://eremosantantonio.it/prezzi/

Ruscellamento delle acque sul monte di Portofino

Non abbiamo niente in contrario alle biciclette anzi.. ma pubblichiamo questo intervento uscito il 22/9/2023 su Levante news perché ci interessa il focus sulla gestione delle acque: concetto uscito dai radar dell’umanità, ma che la natura invece, di per sé, gestirebbe benissimo: consapevolezza e attenzione delle nostre azioni sul nostro monte, sono la base della sua tutela.

Buongiorno a tutti Voi,
abito sul Monte di Portofino da molto tempo, potrei dirmi cresciuto con lui. Non ho la sua stessa età, ma stiamo insieme da forse un milione di anni, da quando sono nato e rapidamente cresciuto, sotto una rigogliosa vegetazione, calore e pioggia tropicali.

Poi il clima si è fatto temperato e mi sono adattato alle nuove condizioni, ho rallentato i miei ritmi di crescita e modificato il mio aspetto: se prima ero altissimo, morbido e rubicondo, adesso mi sono assottigliato e imbrunito, rischio di scomparire.
Quando mi sono formato, le temperature elevate e le piogge copiose facevano crescere lussureggianti foreste, che mi proteggevano ed alimentavano senza sosta; la roccia scompariva rapidamente sotto di me trasformandomi in una coltre morbida e nutriente per le radici e gli organismi viventi. Nell’epoca attuale e da quasi dodicimila anni, l’ambiente dove sto è cambiato: le temperature sono miti, le piogge meno abbondanti, il bosco deciduo ha sostituito le foresta sempreverde. Così non riesco più a trasformare rapidamente e profondamente come prima il materiale da cui traggo origine e cresco ben più lentamente. Devo ringraziare il bosco se sono ancora qui e posso ancora ospitare piante e animali, assorbire e depurare l’acqua piovana e alimentare le tante sorgenti del Monte, evitando che finisca dritta in mare: se fosse stato tagliato e sostituito da strade e da case, mi sarei e mi avreste perso per sempre. Invece, proteggendo il Monte dal pascolo e dai tagli boschivi, Vi siete garantiti lo sfruttamento di una risorsa ben più importante e vitale : l’acqua per bere e lavare, per azionare i mulini, per coltivare in ogni periodo dell’anno. Voi non eravate ancora nati, ma stando qui ho assistito a vere e proprie guerre tra le popolazioni del Monte per accaparrarsi le migliori sorgenti; molti insediamenti, come San Fruttuoso, non sarebbero esistiti se non avessero potuto contare sulla mia acqua. E non parlo di storia passata, perché ancora adesso la fornisco a Santa Margherita, a Portofino e a Camogli.

Come faccio? E’ molto semplice: quando piove le fronde, i rami, i cespugli e l’erba rallentano la caduta delle gocce d’acqua, così che non mi scavino e portino via e io possa filtrarla, assorbirla e conservarla dentro di me sino a raggiungere le profondità rocciose, sottraendola al ruscellamento e all’evaporazione. Io, o meglio quello che di me resta di quando mi sono formato, e la roccia sottostante siamo un immenso serbatoio nascosto, che alimenta sorgenti perenni a tutte le quote e anche sottomarine! Qual è il mio segreto, cosa mi rende unico? Avere avuto origine in condizioni diverse da ora, che mi hanno reso molto profondo, poroso e di essermi conservato nel tempo, seppure non del tutto ed ovunque. Sono rimasto in una limitata zona del Monte, dove l’erosione non mi ha portato via, sulla sua sommità o a Terra Rossa, che prende il nome da me. Insomma sono un fossile vivente, sono ciò che resta di epoche passate, ma svolgo ancora tutte le mie funzioni vitali. Anzi, in tempi recenti ho acquisito ancora più importanza, per il ruolo che rivesto contro il cambiamento climatico causato dalle emissioni umane di anidride carbonica. Devo infatti alle mie antiche origini, se sono un eccezionale serbatoio di Carbonio, capace di inglobare e trasformare la materia organica, sottraendola all’atmosfera come nessun altro.
Quanto scrivo non lo dico io, ma autorevoli studi scientifici, cui ho motivo di credere, e non lo faccio per darmi importanza, ma per paura. Ho resistito al tempo, ai cambiamenti climatici, alle guerre, ma adesso sto male. Mi sento ignorato. Come se tutto il bene che ho procurato sino ad ora non contasse niente. Proprio quando sembra si voglia elevare il livello di protezione del Monte di Portofino da Parco regionale a nazionale, il cuore del cuore del Monte e cioè dove sono io, viene usato in modo da perdermi per sempre e quasi rimpiango il tempo in cui mi rubavano e vendevano a sacchi per i giardini delle ville di Portofino e almeno per qualcuno valevo.

Da qualche tempo vengo scavato da un reticolo chilometrico di solchi, sempre più profondi e ripidi, dove oltre alle ruote delle mountain bikes si incanala l’acqua piovana, che mi trascina inesorabilmente con sé. Non so per quanto ancora potrò resistere, sempre più debole e poco, quando il dolore di essere buttato via avrà la meglio su di me.
Vostro Cutanic Acrisol.

*Dietro questo pseudonimo un grande personaggio e studioso che conosce perfettamente la materia e sa esporre la situazione e i rischi con un linguaggio semplice, comprensibile a tutti

Non sappiamo dirvi chi è!
 

Workshop: introduzione alla tintura naturale

tintura naturale

Tintura naturale all'Eremo
Colori ottuenuti con pigmenti naturali all’Eremo di Sant’Antonio di Niasca

Piante tintoree

La Natura ci fornisce colori in grande quantità: dai fiori, alle cortecce, dai germogli e dalle bacche è possibile trarre facilmente una variegata tavolozza di sfumature, in maniera accessibile a tutti. Questo corso di introduzione alla tintura naturale, ti offre questa tecnica.
Imparerai a riconoscere le piante tintorie che crescono spontanee nel nostro territorio, come conservarle e usarle.
Vedrai come tingere filati e tessuti con colori naturali estratti da piante tintorie e scarti della cucina, come fissare i colori ai tessuti e renderli permanenti e duraturi con l’ uso dei mordenti.
Realizzeremo insieme una “palette” di colori su campioni di filati e tessuti, un “quaderno tintorio” dove conservare i campioni dei colori e le annotazioni di tintura.
Proveremo campioni di stampa su tessuti con tecnica shibori.
Porterai a casauna sciarpa tinta da te durante il workshop, dispense per ricordarti le tecniche usate e un pacchetto di semi di fiori e piante tintorie da coltivare in giardino o sul terrazzo.

COSA IMPARERAI

– Inizieremo parlando delle PIANTE TINTORIE e faremo una passeggiata botanica per imparare a riconoscere le piante utili ad estrarre il colore.
– MORDENZATURA: introduzione teorica dei mordenti che useremo per fissare i colori e delle differenze tra fibre naturali animali e vegetali . Vedremo come trattare filati e tessuti prima di tingerli. Prepareremo insieme con questo metodo di mordenzatura sia le fibre animali (matasse di lana ) che le fibre vegetali di cellulosa ( tessuti in lino e cotone) che andremo successivamente a tingere. ( Questa fase richiede almeno un ora)
– Preparazione del BAGNO DI COLORE: come usare le nostre piante tintorie per la tintura dei tessuti: procedimenti e trucchi.

Il workshop si terrà all’Eremo di Sant’Antonio di Niasca; loc. sant’Antonio 1, entroterra di Portofino (GE): si consiglia di arrivare in bus da Santa Margherita per difficoltà di posteggio!

Nicolò Stasi (cel. ‭+39 342 3298999) racconta di sé “Dopo essermi laureato in pittura e arti visive all’Accademia di belle Arti di Firenze, mi sono appassionato alle arti tessili, tintura naturale, filatura della lana, tessitura, ricamo ecc.

Nel corso degli anni facendo diversi viaggi in India , Nepal, Africa ho avuto la fortuna di imparare e approfondire le arti tessili, apprendere tecniche tradizionali di tintura e stampa e tessitura, conoscere artigiani di altri paesi e condividere conoscenze ed esperienze artistiche. Questa passione è diventato il mio lavoro anche qui in Italia dove ho il piacere di trasferire queste conoscenze un pò dimenticate”

Workshop: stampa botanica su tessuto 2a data

Workshop ecoprinting 2La stampa botanica è una tecnica derivata dalla tintura naturale che utilizza elementi vegetali (foglie, fiori, bacche, radici ecc.) per realizzare stampe su tessuti, carta e altri tipi di supporto. Sono gli elementi vegetali stessi a rilasciare i loro colori sul supporto, imprimendo stabilmente la propria impronta, con speciali accorgimenti.

Nel workshop imparerai passo passo come realizzare stampe 100% naturali partendo dallo studio delle fibre (animali e vegetali), passando per l’osservazione delle specie arboree del territorio. Sperimenterai ogni passaggio della stampa naturale su tessuto.

Il prezzo include il pranzo e due sciarpe che porterai a casa stampate da te. I materiali funzionali al workshop di stampa naturale saranno forniti dal Carolina Tonini.

Info e prenotazioni ‭+39 351 7231090

ATTREZZATURA PERSONALE: guanti in lattice sottili, grembiule (o abbigliamento da lavoro), carta e penna per appunti, forbici.

PROGRAMMA:

10 .00 – 12.30 – introduzione, la mordenzatura, passeggiata botanica e raccolta vegetali, composizione e preparazione stampa;

12.30 – 14.30 – stampa (questa fase, per la quale sono necessarie ca. 2 h di cottura, (in concomitanza con la pausa pranzo)

14.30 – 17.00 – apertura stampe, la manutenzione e considerazioni finali

IL WORKSHOP è gestito da Carolina Tonini (cel. ‭+39 351 7231090), classe 1991, diploma all’Accademia Ligustica di Belle Arti in Scenografia e Costume per lo Spettacolo; lavora dal 2015 come costumista e sarta collaborando con diverse realtà teatrali italiane.

Dal 2019 si dedica allo studio e alla pratica della tintura naturale e dell’eco-printing; nel 2020 da vita al progetto Naturalia e tiene workshop per adulti e bambini, giocando e creando con i colori della natura.

Workshop: stampa botanica su tessuto

ecoprinting 2

La stampa botanica è una tecnica derivata dalla tintura naturale che utilizza elementi vegetali (foglie, fiori, bacche, radici ecc.) per realizzare stampe su tessuti, carta e altri tipi di supporto. Sono gli elementi vegetali stessi a rilasciare i loro colori sul supporto, imprimendo stabilmente la propria impronta, con speciali accorgimenti.

Nel workshop imparerai passo passo come realizzare stampe 100% naturali partendo dallo studio delle fibre (animali e vegetali), passando per l’osservazione delle specie arboree del territorio. Sperimenterai ogni passaggio della stampa naturale su tessuto.

Il prezzo include il pranzo e due sciarpe che porterai a casa stampate da te. I materiali funzionali al workshop di stampa naturale saranno forniti dal Carolina Tonini.

Info e prenotazioni ‭+39 351 7231090

ATTREZZATURA PERSONALE: guanti in lattice sottili, grembiule (o abbigliamento da lavoro), carta e penna per appunti, forbici.

PROGRAMMA:

09 .00 – 12.30 – introduzione, la mordenzatura, passeggiata botanica e raccolta vegetali, composizione e preparazione stampa;

12.30 – 14.30 – stampa (questa fase, per la quale sono necessarie ca. 2 h di cottura, (in concomitanza con la pausa pranzo) 

14.30 – 16.00 – apertura stampe, la manutenzione e considerazioni finali

IL WORKSHOP è gestito da Carolina Tonini (cel. ‭+39 351 7231090), classe 1991, diploma all’Accademia Ligustica di Belle Arti in Scenografia e Costume per lo Spettacolo; lavora dal 2015 come costumista e sarta collaborando con diverse realtà teatrali italiane.

Dal 2019 si dedica allo studio e alla pratica della tintura naturale e dell’eco-printing; nel 2020 da vita al progetto Naturalia e tiene workshop per adulti e bambini, giocando e creando con i colori della natura.